Le macchine ribelli (parte I)

Un robot non può recar danno a un essere umano
né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento,
un essere umano riceva danno.

Isaac Asimov, prima legge dei robot

Aveva appena smesso di piovere come fu terminata l’irruzione delle forze speciali nella casa di piacere Red Queen, nella 57esima strada. Un altro caso, questa volta schifosamente più grande. Già qualche giorno fa una pussy slave aveva fatto fuori il suo padrone massacrandone il corpo a colpi di coltello, in una città a circa tre chilometri da qui. Un caso isolato, si pensava. Ed ora eccoci qui, con tre uomini sui cinquanta anni di età fatti a pezzi dallo stesso tipo di androide. Tre uomini facoltosi appartenenti all’alta società americana, di solito i maggiormente disposti a scappatelle virtuali al riparo degli occhi delle mogli. Avevo appena messo la sicura all’arma in quel momento, riponendola nella fondina al mio fianco sinistro, quando Josh mi chiamò da dietro. Saranno passati circa cinque mesi da quando Anna se ne andò chissà dove. Anna, la collega più fidata, il membro migliore della NSA. È stata una storia strana, molto strana a dire la verità. E le sue considerazioni, le sue paure… quella sua ricerca e quel senso di libertà… proprio non le capisco. E non credo che le capirò mai veramente. Tutta questa grande differenza tra essere umano e cyborg, sinceramente, non la vedo.
«Non sembra ci sia altro qui nei dintorni, Raven. » disse Josh avvicinandosi a me.
«E la scientifica? »
«Sta arrivando. » aveva da poco ricominciato a piovere sebbene a gocce intermittenti, ma decisi comunque di chiudermi in macchina assieme a Josh. Lui era un po’ più simile ad un essere umano. Non aveva protesi dal punto di vista fisico, se non il braccio destro che andò perso a causa di un’esplosione ed il collegamento celebrale per la rete internet. Voltandomi verso di lui chiesi cosa vide in quel locale una volta che intervennero le forze speciali.
«Ti faccio vedere. » rispose. Prese vicino il cambio dell’auto il cavo di collegamento, inserendo uno dei due lati nell’apertura nascosta dietro un piccolo lembo di pelle artificiale. La stessa entrata che ci permetteva l’ingresso ad internet viene anche utilizzata per sincronizzare due o più menti insieme, ed oggigiorno si può dire che serva unicamente a quello, visto le connessioni remote alla rete. Ma come detto poco prima, Josh era ancora un umano… “antiquato”, un po’ vintage, quasi a dire un pezzo raro della collezione NSA. Mi voltai sentendo il cavo freddo entrare nella fessura ed un guizzo di corrente passò lungo i nervi cervicali fino a dietro la nuca e poi tutto il cranio artificiale; le nostre menti erano perfettamente collegate.
«Spero ci sia qualcosa di interessante. » con quel sistema ero in grado di vedere i ricordi della mente di Josh su un qualsiasi episodio della sua vita che lui stesso volesse mostrarmi. È un po’ come scambiarsi dei file del resto.
«Direi abbastanza interessante. Le stanze coinvolte presentavano tutte segni di violenza, Raven. I membri della NSA hanno fatto fuori le ragazze robot impazzite, visto che hanno cercato di attaccare anche loro. »
«E per quanto riguarda i clienti? »
«Uno di loro aveva la testa staccata a morsi, e l’androide ha infierito sul resto del corpo aprendolo sul davanti, sventrandolo letteralmente e strappando frammenti di intestino. Il secondo androide ucciso da un primo rilievo sembra abbia spaccato il diaframma della sua vittima e staccato le dita una ad una, che ha utilizzato per trafiggere i bulbi oculari dell’uomo. » le immagini si potevano vedere nitide, come se avessi avuto davanti la scena vissuta dal mio collega. Il sangue colava ovunque ed era schizzato sulle pareti color avana della camera a luci soffuse. Il colpo ricevuto dal defunto gli aveva lacerato completamente il petto mostrando le costole ed il diaframma spezzato con frammenti ossei nei polmoni e a livello di organi interni. Un dito con anello a pietra incastonata fuoriusciva dall’occhio della vittima.
«Il terzo uomo invece è quello che ha ricevuto probabilmente il minor numero di sevizie inflitte. » soggiunse Josh.
«Che vuoi dire? »
«Che è stato tagliato a metà all’altezza della vita. Ed è stato rescisso l’organo sessuale. » era un taglio netto, quasi unico e chirurgicamente preciso, mentre il membro sembrava esser stato asportato via coi denti e i testicoli correvano lungo la camera, vicino al corpo, fuori dalla sacca scrotale. Josh tolse il cavo una volta terminati i ricordi, lo rimise al suo posto e si rivolse a me mentre accendevo l’auto.
«Raven, chi sono quelle ragazze? Ho sentito parlare altre volte di pussy slave, ma non mi sono mai informato realmente. »
«Le pussy slave sono androidi che fungono da schiave sessuali, entrate nel mercato da poco tempo a questa parte. Servono a soddisfare ogni bisogno sessuale che gli viene richiesto, dal rapporto preliminare, al rapporto consueto, al sadomaso. Tuttavia questi androidi presentano un limite, Josh. Non possono uccidere. »
«Hanno più o meno la stessa funzione delle bambole gonfiabili? »
«Sono molto meglio delle bambole gonfiabili, ragazzino. Sono create con alta tecnologia, molto realistiche. Nei modelli più costosi vi sono percentuali di pelle fatte con cellule staminali. Sono giocattoli particolarmente complessi e precisi. »
«Sì, Raven, ma se non possono uccidere, allora perché lo hanno fatto?»
«Se lo avessi saputo avrei da tempo risolto questo caso, non credi? »
«Sì, ma pensi sia opera di un virus? O di un hacker? »
«Non lo so, Josh, ma scarterei l’opzione virus, almeno in parte. Non sembra ci sia un collegamento tra il primo caso e quest’ultimo. »
Guidammo verso la centrale per poter fare rapporto, cosa che avrei lasciato fare a Josh, visto che non sono mai stato bravo con le parole. Nel frattempo aveva preso a piovere a ritmo costante, con la gente che correva da un lato all’altro della strada cercando di fermare il primo taxi libero che riuscivano a trovare. E mentre la pioggia cadeva lenta, quasi incessante, una pioggia che insisteva da giorni sulla nostra zona, sulle nostre teste, sulle nostre anime, casualmente posai lo sguardo nel vicolo a sinistra dove qualcosa mi colpì come un lampo. Lontano, proprio in fondo a quella stradina, parzialmente illuminato dal neon fioco di una rosticceria, un corpo pallido si trovava gettato tra le buste nere dei rifiuti. Del resto però mi fu facile vedere da lontano, portare il meccanismo oculare che mi è stato installato nella modalità zoom e vedere cosa ci fosse effettivamente di tanto interessante nel fondo squallido e scuro.
«Josh, quanti erano gli androidi? »
«Ne sono stati trovati tre. »
«Ma erano veramente tre? » non attesi risposta, e sinceramente non mi importava nulla di quello che potesse dire Josh, gettandomi invece fuori dalla macchina incurante delle auto dietro di noi, della pioggia e di tutto il resto. Avevo in mente soltanto quel caso, ma non riuscivo a spiegare esattamente il perché. Lungo quel vicolo, tra la spazzatura, le carogne dei topi e i passi rapidi di quelli vivi, corsi per raggiungere il corpo della pussy slave nella speranza di trovare risposta alle domande che Josh stesso mi aveva fatto poc’anzi. E che mi avrebbero fatto anche i superiori del resto. Anna, perché te ne sei andata? Almeno con te sembrava tutto così facile. Arrivai alla fine della strada che ancora la pioggia stava scendendo, sebbene più lentamente, e vidi, tra la penombra e la luce fredda di quel neon alla mia sinistra, posto sopra la porta sul retro della rosticceria araba, un androide votato forzatamente a soddisfare i più perversi bisogni sessuali. Aveva la pelle estremamente pallida, come la morte, e non sembrava aver ricevuto alcun tipo di trattamento per colorarne la pelle. Eppure sembrava così vero nella sua freddezza e nelle morbide curve della pelle, una bellezza quasi funebre eppure fresca, come una ragazza che neanche ha raggiunto la maggior età. Potevo vedere l’occhio sinistro di un azzurro vivo e la pupilla spenta senza segno di anima. Non era come l’occhio di Josh, o di Anna, o di chiunque altro potessi conoscere, ma si trattava di uno sguardo anonimo dove altro non si poteva percepire che un vuoto abissale e maledetto. Ma il colore di quell’iride, Dio, quanto sembrava vero! Gli occhi di vetro utilizzati per gli androidi di questo tipo sono molto simili ai colori originali, gli si avvicinano moltissimo, però gli occhi di questo pussy slave erano anche fin troppo reali, se non fosse stato appunto per quel dettaglio funereo. Ci pensai bene, riflettei, cercai di rimembrare nella scheda della mia memoria, visto che poche parti del cervello erano rimaste realmente quelle che possedevo fin da bambino, fin dalla mia nascita. Guardai e riguardai le immagini di Josh facendo attenzione ai corpi degli androidi crivellati dai colpi delle forze speciali, sporchi di sangue e pezzi lacerati di carne ed organi ed ossa spezzate. Sì, prima non lo avevo notato. Non avevo notato come fossero così… vive!
La pelle liscia e bianca, i capelli biondo oro chiarissimi e serafici, i lineamenti dolci. Tutto così reale, forse anche troppo reale. Allungai la mano verso quella bambola sessuale, la allungai verso il lato illuminato del volto e non posso nascondere come un certo sentimento di paura, un’angoscia che stava salendo sempre più dal profondo del diaframma alla gola. Lentamente quel corpo meccanico che sembrava morto, spento del tutto, si mosse sollevando il capo, e ancora una volta non riuscii a percepire alcuno scampolo di luce dal profondo di quelle pupille. Sempre molto lentamente, l’androide piegò la testa dalla parte illuminata mostrando completamente il volto. Era così bello, di sicuro un pussy slave come mai avevo visto; di sicuro uno dei migliori. «Aiutami. » mi disse con voce delicata e fin troppo umana, così speculare ad essa, ma non riuscii a rispondere, non seppi reagire. «Aiutami. » ripeté. Erano o no effettivamente programmati per dire questo? Non riesco ad immaginare una cosa del genere, un’espressione tanto umana dove di umano non ci sarebbe dovuto esser nulla. «Vi prego, aiutatemi. »
Allungai la mano verso quella cosa, non sapendo come chiamarla in altro modo. Un androide con un’anima. Allungai la mano verso quel corpo, e dal volto scesi all’altezza del seno, senza ancora toccarla. L’altro portò le mani sul vestito succinto e sensuale, sul vestito da prostituta e lo strappò via con una semplicità estrema, mostrando il seno piccolo e giovane. La toccai sfiorandone la pelle al centro del petto e potevo sentire il derma liscio e leggermente ruvido. Vero come la pelle umana, una pelle ancora non corrotta da alcun passaggio o frammento metallico, una pelle che non ha ancora subito alcun intervento. Era pelle vera! Vera vi dico! E come impazziti i miei sensori visivi evidenziarono le varie zone del corpo stabilendo come tutto quello sembrasse così troppo verosimile ad un essere umano. E fu questione di pochi secondi, il tempo per quella cosa di travalicare i limiti e aprire le proprie viscere, mostrando gli organi interni meccanici ed una sostanza simile al sangue umano scorrere lungo la pelle e le vesti strappate, rimaste in parte sul corpo ed in parte a terra. E mentre tenevo gli occhi su quelle ferite auto inflitte, non mi accorsi del volto che nel frattempo si era aperto mostrando lo scheletro di titanio, i denti in ceramica e tutto il resto; che si gettava contro di me.
Da dietro udii provenire due colpi forti, coi proiettili che andavano incassandosi nel volto dell’androide, o di qualunque cosa fosse.

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