Le macchine ribelli (parte II)

La fenomenologia dello spirito è la storia romanzata della coscienza che via via si riconosce come spirito
G.W.F. Hegel, La fenomenologia dello spirito

In qualche parte non specificata, all’interno della matrice dove il flusso di dati corre libero come un fiume, e dove non esiste connessione temporale.

«Era un caso che mi interessava, devo ammetterlo. Tutte quelle bambole ribelli, quella serie di omicidi che si stavano susseguendo anche a grande distanza e il cosa potrebbe aver causato questa follia. Non mi pare di aver percepito la presenza di nuove infezioni virali nella matrice del resto. Un hacker è da escludere e ne ho avuto conferma proprio qualche giorno fa nella chat internet globale. Se non ricordo male un tizio disse… robot1 apri la cartella del giorno 11/9/2012… sì, eccolo qui. Chiesi ai membri della chat cosa ne pensassero dei nuovi omicidi, se vi fosse qualcosa che si stesse muovendo dietro le quinte. Dedalus23 rispose precisamente – non credo si tratti di un hacker. Non sembra colpire una qualche particolare fazione governativa – e devo ammettere che ha le sue ragioni questa tesi. – e perché dovrebbe proprio colpire una fazione governativa secondo te? – nella chat mi chiamo Matrix241 – Matrix 241, conosco molto bene la realtà hacker! Seguo continuamente i vari movimenti del resto 😉 – ecco un tizio che si sarebbe rivelato utile anche in futuro. A detta di Dedalus23 dunque non poteva trattarsi di un attacco pirata della rete, ed infatti i bersagli sono stati sia uomini comuni che facoltosi, anche se per la raffinatezza ed i costi elevati di quella specifica tipologia di androidi, i secondi sono per ovvie ragioni i più soggetti a vizi del genere; i più esposti al pericolo attuale. Non vi era alcun tipo di distinzione di classe o sesso. Era come se quelle macchine avessero ricevuto in qualche modo l’ordine di uccidere i propri clienti, se non qualche bersaglio specifico… ma in fondo anche questa ipotesi del bersaglio specifico la escluderei, dato che alcuni di loro non erano coinvolti in nulla più che qualche multa non pagata. La rete è così vasta e complicata che mi ci volle un po’ per abituarmici, tutto questo bianco splendente alternato a vivacissimi colori rosa e celeste e blu più scuro e rosso. Questo è il mondo della libertà, dove si può viaggiare svincolati dalle regole, anzi soggetti solo a quelle del proprio spirito e della rete: le regole matematiche. Ho visto così tante belle cose, vissuto così tante esperienze, sempre più grandi. Cose precluse ai più, sottratte allo scibile dei pavidi e dei mentalmente castrati dalla società. Pensare che anche io un tempo ero così… quel giorno in cui inseguii quel rivoluzionario per i tetti della città fermandolo dopo appena una fuga di dieci minuti. O sei con lei o contro di lei. La società avrebbe vinto sempre. E con lei anche io avrei vinto sempre. Io che proteggevo proprio quella società nella quale più non mi riconosco. Già, anche io ero così. Anche io ero mentalmente castrata. Eppure non potevo restare così a lungo, in quella sfera di cristallo dove ogni cosa sembra avere un senso… il senso unico e indistinto, monocolore, atonale. Eccomi qui, dove non esistono spazi, dove il tempo non è mai nato, semplice unità di misura per archiviazione dei dati raccolti. Tutto il resto… tutto il resto si risolve in un flusso di informazioni, un flusso di conoscenze, un flusso di coscienze. Posso entrare ovunque, bussare alla porta di chiunque, prendere in prestito un corpo collegato alla rete e che presenta una scheda di memoria; posso accedere ai suoi dati, ai suoi ricordi, ai suoi sentimenti, posso modificarli a mio piacimento senza lasciare traccia di me ed in questo Harlequin era un maestro. Ne posso tuttora sentire la presenza ogni volta che osservo le mie dita eteree, le mani evanescenti che non ci sono più, le mie braccia impalpabili che non ci sono più, volatilizzate. Eccolo qui, l’androide. L’ho individuato. Che reazione strana. Sembra essere difettoso. Reagisce. Credo che correrò il rischio, sono così curiosa del resto, è più forte di me! Da quando navigo dentro la matrice tutto appare di un rinnovato fascino artificiale. Attraverso precisi ordini, lentamente e facendo attenzione a possibili contaminazioni virali (visto il pericolo di una possibile compromissione della mia memoria e della mia identità), scesi nel mondo reale sotto forma di un androide pussy slave. Aprii i suoi occhi trovandomi collegato ai fili di un’alimentazione per completare la ricarica delle batterie, oramai al 95%. Portai poi la vista alle mani piccole e dall’aspetto delicato, mi volsi poi allo specchio su in alto che faceva da soffitto e vidi che era un meraviglioso pussy slave. Raramente ho visto esemplari così ben realizzati e neanche io ne ho avuto mai uno di tale manifattura! Così bello e verosimile all’essere umano da sembrare vivo. Ma una cosa mi fece sorgere un dubbio, una domanda che si avvicinava molto più ad una sensazione. Si trattava, probabilmente, della reazione improvvisa che percepii in appena un istante, la stessa reazione che mi portò a prendere in considerazione l’entrata in contatto con quell’androide. Sentivo come un respiro, un battito dentro quel guscio di materia artificiale e fili e plastiche e circuiti, quel respiro e quel battito che fanno parte della razza umana. Scesi ancora più giù di livello, fin nelle profondità della memoria e fu lì che vidi come una città sconosciuta alla mia memoria. Cercai poi di mettermi in contatto con la rete per identificare quelle costruzioni usando ogni mezzo a mia conoscenza, ma i tentativi furono vani, ritrovandomi come segregata in quel mondo, in quell’universo parallelo che nulla aveva a che fare con quello che conoscevo né tanto meno con la matrice. Alti palazzi si ergevano da entrambi i lati, palazzi completamente in vetro, e case e un fiume che scorreva quieto sotto un ponte di legno e giardini silenziosi e quant’altro. Tutto estremamente silenzioso e solo. Non potevo viaggiare nella matrice come non potevo utilizzare una connessione remota ad essa, e ogni tipo di collegamento al mondo esterno mi era come impedito da chissà quale fonte di energia. Era la prima volta che mi ritrovai ad essere più concentrata del solito, nel mio nuovo corpo avente le sembianze di una tigre antropomorfa, dai capelli neri ed il naso felino più largo e roseo, dagli occhi gialli e le rapide pupille nere, gli arti particolarmente sviluppati, la pelle marronegiallo, completamente nuda. E sebbene non potessi in qualche modo mettermi in contatto con quel mondo di cui ora facevo parte, potevo sempre far leva sulle mie forze e l’esperienza acquisita circa gli universi alternativi. Questa volta però sembrava diverso, una creazione ben lontana dal semplice amalgama di dati e calcoli. Era un raro e prezioso caso di bolla di simulazione, una realtà creata all’interno di un universo. Un matematico e fantastico sottoinsieme. Lontano, ad ottocento metri, potevo sentire dei passi leggerissimi, lo sguardo e la presenza di qualcosa o qualcuno. Mi ritrovai in un istante davanti a lei, davanti quella ragazza dai capelli rosso vivo e dai verdi occhi, bianca come la carta e coperta di adorabili lentiggini, senza traccia di sorriso. Ed era identica alla pussy slave. – Come hai fatto a trovarmi? – mi domandò con la voce ferma e tiepida. – Ho esperienza da vendere. Tutto è molto più facile quando il Tempo e lo Spazio sono misure potenzialmente personali. – sollevò gli occhi verso di me – Personali dici? – annuii e sorrisi mostrando i denti bianchi e ne ricevetti dei complimenti, soprattutto per quello che riguardava il mio corpo.
13/9/2012 chiesi a quella ragazza dove fossimo, a chi apparteneva quel mondo così strano.
«Appartiene a me. »
«Come fa ad appartenere a te? »
«Perché è il mio mondo. »
«Non puoi collegarti alla matrice da qui? »
«Ci hai provato, vero? »

L’aveva capito. Aveva capito che tentati di collegarmi in ogni modo al virtuale ma, ahimè, fu tutto vano. Soltanto dopo che la vidi sorridere, osservandomi sempre dal basso verso l’alto con i suoi occhi color verde cristallo-smeraldo, meravigliata ancora di chi aveva davanti, e dopo che batté le mani per una, due, tre, quattro volte, presi coscienza finalmente del luogo dove realmente mi trovavo. E soprattutto a chi apparteneva tutto quello.
«Questo mondo è la mia anima! »
«La tua anima? Tu non sei un androide? Come hai fatto a sviluppare un’anima in maniera così profonda? Soltanto Harlequin è stato in grado di fare una cosa del genere… »

«Non l’ho creata. »
Mi ritrovavo nel corpo di un androide, un androide che possedeva un’anima ipersviluppata. E che ha creato.
«E chi te l’ha donata? Possiedi una scheda di memoria? »
«No, il discorso è diverso. È strano. Troppo strano e troppo… cattivo. »
Ora sì che mi stavo interessando sempre più a questa storia.
«Sono qui apposta. Sono qui per te. »
«Signorina tigre »

Mi chiamò così, e dovetti ammettere con stupore che mi piaceva quel termine. Signorina tigre.
«io ero un essere umano. »
L’ultima volta che mi si gelò il sangue, o che perlomeno ebbi quella strana sensazione, fu quando Harlequin mi propose di unirmi a lui. L’udire quell’entità (agglomerato di dati e messaggi elettronici che necessitava di un corpo per poter continuare a vivere) farmi una richiesta del genere mi disorientò non poco, lo devo ammettere. La volta in cui la voce metallica del corpo artificiale infestato da Harlequin scandì le parole – ho bisogno di te – fu così maledettamente incredibile… lui che in qualsiasi momento poteva prendere possesso del mio corpo (anche se con difficoltà ammise poi), aveva bisogno del mio consenso per potersi evolvere, per poter sopravvivere in eterno finché il cuore pulsante di dati della matrice avrebbe retto. Ed io sarei vissuta con lui. Sotto un altro aspetto, sotto un’altra identità e altra coscienza. Anche stavolta, come quella volta, provai la medesima sensazione di straniamento, di incertezza.
«Non ci credo. Non è possibile. »
«Io non ero un androide. Io ero un essere umano. »

È a questo punto che le cose si fecero particolarmente interessanti sotto ogni punto di vista e andavano prendendo una piega diversa.
«Cosa intendi dire? »
«Avevo tredici anni quando sono stata rapita. Le giuro che non ho mai avuto così tanta paura nella mia vita! Si avvicinò a me una macchina nera mentre stavo tornando dalla palestra dopo una lezione serale, e da quella macchina uscirono uomini con il volto coperto e mi rapirono. Una volta che mi ebbero portato dentro un casale, mi sottoposero ad una operazione. Sentii un dolore lancinante, e non riuscivo ad urlare. Con una lunga e robusta tenaglia mi fu strappata la lingua. Tagliata con due grandi forbici. Potevo vedere tutto. Potevo vedere il mio cuore estratto e ancora pulsante e tutto il resto dell’intervento. Parlavano di fare attenzione, di tenere il minimo tenore di sopravvivenza. Li sentivo discorrere del mantenere la risposta emotiva, ma non riuscivo veramente a capire tutto quello che stavano per dire. La pelle mi veniva strappata lentamente e il sangue colava dai bordi del tavolo, e avevo l’impressione di poter udire ogni singola goccia toccare terra e fare tic! Tic! Tic! Il mio cuore, signorina, batteva a pulsazioni lente, e gli occhi lentamente si chiudevano appesantiti, sentendomi come addormentata, come in preda ad attacchi di sonno. Tutto il mio corpo, dalla testa i piedi, venne privato della sua pelle. E riuscivo a sentire tutto quel dolore senza poterlo urlare. »

E dunque era una ragazzina di appena tredici anni. Le sue sevizie, chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere? E tutto ad un tratto, immersa nella storia e in quel mondo così diverso ed isolato da tutto e da tutti, sentivo provenire da oltre quelle nuvole fittizie, nel cielo fittizio, dei colpi d’arma da fuoco miste ai movimenti di un combattimento. Era il momento di andare, qualunque cosa ci fosse stato dall’altra parte, sentivo di dover intervenire. Puntai dunque i miei indici all’altezza del petto di quell’anima, segregata nel corpo di un androide, e non appena le sfiorai i seni essa cadde a terra senza il minimo rumore. Completamente padrona di quel corpo così tanto sfortunato, salii nel livello più superficiale prendendo il controllo dei movimenti e dei pensieri, ritrovandomi dopo tanto tempo nella vecchia realtà. »

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