Discorso su John Milton: Areopagitica

Nel 1644 il Parlamento inglese ricevette uno scritto da parte dell’autore dell’indimenticato Paradise Lost. Si sta parlando di John Milton. Già noto al tempo per i suo toni critici nei confronti di una società a suo dire falsamente democratica, questo autore combatté con forza i problemi dovuti alla censura inglese sui testi scritti e contro il noto Licensing Act; la legge inglese sulla censura (Mancini, 1996).

Lo scritto in questione, il cui titolo completo è Areopagitica. A Speech of John Milton, for the Liberty of Unlicensed Printing, to the Parliament of England, è un inno al libro, visto come miniera di vita e di ragione, equiparato a Dio (Mancini, 1996).
Il piccolo saggio è diviso in tre parti principali, e precisamente:
1. Nella prima parte Milton ripercorre brevemente la storia della censura dagli ateniesi fino all’Imprimatur della Chiesa cattolica.
2. Nella seconda parte si illustrano i motivi per cui il Licensing Act non può sortire alcun effetto positivo.
3. Nella terza ed ultima parte si discutono i danni prodotti dalla norma.

Non tutto può essere affrontato in ambito di questo breve scritto, preferendo trattare di alcuni passi significativi al discorso che si vuole sostenere.
Areopagitica tratta del rapporto fra il principio di libertà ed il principio di autorità, temi a dir poco fondamentali nel periodo storico preso in considerazione e nel quale tante sono state le battaglie intraprese proprio in virtù di tale contrasto. Nel Discorso di Milton si esalta il principio di libertà affiancandolo alla diversità, la contrapposizione tra differenze politiche e morali, donando ad ogni capitolo, ad ogni periodo, ad ogni singolo lemma, il carattere universale in difesa della libertà di coscienza da esternare attraverso la scrittura. È proprio l’autore che scrive: “who kills a man kills a resonable creature, God’s image; but he who destroys a good book, kills reason itself, kills the image of God as it were in the eye”. Senza tradurre alla lettera, ma estrapolando il concetto, Milton sta cercando di dirci quanto grande può rivelarsi la forza di un libro, soprattutto se si tratta di un buon libro! È proprio in quest’opera che l’autore sviluppa due concetti fondamentali della sua filosofia: il free market place of ideas visto come il luogo dove si può trovare il prodotto culturale adatto ai propri bisogni quasi fosse un mercato di libero consumo dei beni; ed il self right principle, secondo il quale è inutile vietare alle idee sbagliate o malvagie di essere diffuse, poiché esse saranno sconfitte dalla forza della ragione. Questo stesso principio, per molti aspetti, può considerarsi l’idea più radicale e più rivoluzionaria del liberalismo, il principio che darà poi avvio al processo di formazione del giornalismo liberale. Tuttavia il self right principle non concerne soltanto la scoperta della verità grazie al libero confronto di opinioni, ma va ben oltre, attribuendo grande responsabilizzazione individuale nel saper scegliere e nello scegliere giusto (Mancini, 1996).
Vediamo ora qualche considerazione sul Discorso di Milton.

Nella sezione riguardante l’appello al Parlamento inglese, proprio alle prime pagine, Milton colpisce profondamente con un ragionamento quanto mai illuminato: “la libertà che noi possiamo sperare non è infatti che nessuna lagnanza abbia mai a levarsi nello Stato […] ma che quando le lagnanze sono liberamente espresse, attentamente considerate, e prontamente rimediate, allora quel limite estremo di libertà civile che gli uomini ragionevoli s’aspettano viene raggiunto”. La libertà civile da Milton viene letta come quel confronto all’interno di uno Stato per raggiungere obiettivi e soluzioni in maniera ragionevole, scartando quelle idee inopportune al fine di giungere alla verità. È, in altre parole, un contesto molto vicino al “contratto sociale” di Rousseau, dove il concetto di democrazia non si esaurisce nella mancanza dei problemi nello Stato, ma nel dialogo per trovarvi rimedio. Un dialogo onesto, un dialogo democratico.

Passiamo ora alla sezione riguardante i libri e al significato profondo che gli attribuisce Milton in proposito. Si può leggere dall’Areopagitica che “i libri non sono per nulla cose morte, bensì contengono in sé una potenza di vita che li rende tanto attivi quanto quello spirito di cui sono la progenie”. Si sente lo spirito, in queste parole, di autori lontani eppure tanto vicini, allo stesso modo di alcuni autori contemporanei. “Ecco il potere di un libro, ecco il potere della letteratura!” sembra affermare Milton. Se le miliardi di pagine scritte hanno donato immortalità a figure mitiche, a personaggi fantastici e che sono entrati nei luoghi comuni di oggi, se le miliardi di pagine hanno donato immortalità ad autori e luoghi del mondo, la stessa cosa l’hanno fatto per i diritti fondamentali, che odorano di carta antica ma che ancora oggi sono più che attuali. Una voce che non può essere placata e che nessuno può ammutolire, perché distruggendola (parliamo della voce della cultura e dei libri) si rischia di “uccidere un’immortalità” per usare le medesime parole dell’autore inglese. È questa la forza delle parole, è questa la forza della letteratura e dell’arte: concedere ad ogni cosa il proprio spazio di immortalità. Proprio come affermarono Shakespeare, Bacon (The Advancement of Learning, 1605) e molti altri ancora.

La terza sezione si focalizza sul particolare della censura e di come essa impoverisca non solo la cultura, ma anche la religione. Milton afferma come “tutte le opinioni, gli errori persino, […] sono di utilità e aiuto essenziali al conseguimento di ciò che è più vero”, parole dove trova sfogo il precedentemente citato self right principle. Nelle parole dell’inglese si può leggere l’importanza non solo dell’errore come possibile passo verso la verità, ma anche l’importanza delle esperienze. In merito non esistono esperienze buone o cattive, poiché la conoscenza non può, afferma Milton, “corrompere” (e con essa non possono corrompere i libri) “se la volontà e la conoscenza non siano corrotte”.
L’umana virtù nasce dalla conoscenza e dallo studio del vizio, dall’analisi dell’errore e dalla conferma della verità che si può ampliare a dismisura proprio grazie all’esperienza! Ecco perché evitare di astenersi è la mossa più congeniale alla ricerca della verità, ecco il beneficio che si può trarre da una lettura promiscua di libri! Se Milton considera la ragione come scelta, come essenza del libero arbitrio concesso da Dio all’uomo, come potrebbe mai spiegarsi la censura posta sui testi considerati offensivi? E anzi, proprio quei libri considerabili come contaminatori della vita dell’uomo, non possono venire soppressi senza evitare un decadimento del sapere. Giunti a questo, sento il peso (voluto, intendiamoci) di dare un senso “matematico” al ragionamento di Milton, descrivibile dall’equazione:

Esperienza = Virtù + Vizi

dove: Esperienza = Conoscenza

Questo sta a significare, a mia modesta interpretazione, come la verità non sia altro che la somma di ciò che nella società sono considerati i vizi e le virtù. Ecco perché (sempre a mia personale lettura della filosofia di Milton) la verità corrisponde al livello di esperienze realizzate – in termini di letture promiscue – e di conoscenza acquisita, le quali si identificano tra di loro. La verità quindi è funzione dell’esperienza/conoscenza

Verità = f(Esperienza)
o
Verità = f(Conoscenza)

In conclusione, Milton sembra voler affermare come l’uomo abbia a disposizione tutte le possibilità di arrivare al raggiungimento della verità, qualunque essa sia, poiché essa nasce dalle esperienze vissute, dalla conoscenza acquisita. Tutti i poteri che cercheranno di tarpare le ali all’opinione e alla libera informazione, non sono altro che poteri autoritari dispotici, poteri che si nutrono dell’ignoranza del popolo che governa. E in questi tempi moderni, non ci potrebbero essere autorità più infime e crudeli, poteri non manifesti, poteri occulti, tendenti a mantenere in uno stato vegetativo la volontà e la capacità combattiva di popolo, che purtroppo sembra vada assopendosi sempre più. E dunque che rinasca la lotta culturale, quella del risveglio delle coscienze, quella che molti altri prima di noi hanno intrapreso con tanto fervore e trasporto, perché quello che è stato lo è anche adesso e lo sarà sempre; allo stesso modo di chi gettò le basi delle nostre coscienze.

Una Risposta to “Discorso su John Milton: Areopagitica”

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